Icone, rappresentazioni della bellezza divina
La storia e l'uso delle icone nel Monastero del Sinai, dalle prime donazioni di icone portate da Costantinopoli
Quando i primi cristiani decisero di raccontare la storia della Chiesa e il dogma cristiano con le immagini, privilegiarono innanzitutto i ritratti di Cristo, della Theotokos e dei martiri. Secondo l'antica tradizione, questi ritratti venivano dipinti singolarmente su legno con la tecnica della cera colorata, allora prevalente (in seguito la cera fu sostituita dalla tempera all'uovo), e diventavano così le icone, verso le quali si tributava onore e adorazione.
In nessun caso, tuttavia, queste icone sono state considerate come semplici immagini. Le figure e gli eventi sacri che esse raffigurano rappresentano la partecipazione umana alla vita divina.
L'incarnazione del Verbo aveva già dimostrato che la materia può diventare un veicolo dello spirito e che la natura umana può essere riempita di vita e bellezza divine. Le icone dovevano presentare ai devoti un nuovo stile di vita e portarli a comunicare con il Divino, cosa impossibile da realizzare con il linguaggio dei sensi. In questo spirito, la tradizione ha sostenuto che le prime icone sono state create in modo miracoloso, che continuano a compiere miracoli attraverso i santi che raffigurano, che rappresentano l'uomo e il suo ambiente come sono trasformati dall'amore di Dio e, infine, che svolgono un ruolo integrale nella vita della Chiesa. Il devoto prega le icone che colloca nella nicchia di preghiera, sulle pareti e nell'edicola domestica. Allo stesso tempo, la presenza delle icone nella chiesa implica la presenza degli stessi santi che esse raffigurano.
Nei primi anni di vita del monastero del Sinai, i suoi fondatori donavano icone portate da Costantinopoli, una pratica che si sarebbe mantenuta anche in seguito. Con l'aumentare delle esigenze liturgiche e il moltiplicarsi delle cappelle all'interno del monastero e sulla montagna, per non parlare del numero di pellegrini, i monaci dovettero presto dipingere le proprie icone, continuando a riceverne altre in dono da diversi pellegrini e paesi. Si accumulò così lentamente una collezione unica in tutto il mondo cristiano. Le icone create prima del trionfo della fede ortodossa nell'843 sono estremamente preziose per la storia complessiva delle icone nella Chiesa cristiana. Dopo la sua conquista da parte degli arabi nel 641, il Sinai si trovava al di fuori del territorio bizantino e quindi gli imperatori iconoclasti non potevano imporre la distruzione delle icone.
Queste prime icone sono dipinte con la tecnica dell'encausto, cioè con cera mescolata a pigmenti tenuti fusi in tavolozze riscaldate. Alcune di queste prime icone sono associate, dal punto di vista iconografico, alle icone miracolose di Costantinopoli e altrove, oggi perdute, e anche ad alcuni affreschi monumentali. Le icone dipinte nel Sinai durante il periodo dell'Iconoclastia sono strettamente legate all'arte della Palestina e dell'Egitto [4.1-5], mentre la loro iconografia contribuisce allo studio della storia del culto cristiano; ad esempio, la Crocifissione [4.1], che deve essere stata dipinta in Palestina, contiene la prima raffigurazione conosciuta di Cristo con una corona di spine.
La comunicazione regolare con Costantinopoli e la sua arte riprende dopo la seconda metà del IX secolo, come testimoniano alcuni capolavori giunti al monastero in quel periodo. Poco più tardi, durante l'XI e il XII secolo, alcune icone - calendari mensili che presentano i santi del giorno secondo il calendario cristiano [5.2] - ci forniscono un segno distintivo delle icone prodotte nel Sinai o almeno destinate al Sinai. Il monastero possiede la più antica e ricca collezione di tali icone. Esse sono anche strettamente legate all'arte dei manoscritti miniati. Di solito sono destinate ad adornare la nicchia di preghiera o il santuario, ma ci sono anche icone di grandi dimensioni destinate a molte cappelle, dove servono come sostituti degli affreschi murali.
Intorno alla metà del XIII secolo compare un particolare gruppo di icone che fondono l'arte bizantina con quella occidentale. Si ritiene che queste icone siano state dipinte nel Sinai o nelle sue vicinanze, da artisti italiani e francesi che accompagnavano i crociati in Terra Santa. Queste icone sono state giustamente chiamate icone crociate. Un'altra teoria, piuttosto improbabile, è che si tratti di prodotti di artisti cristiani orientali che imitano prototipi occidentali [7.2, 9.1, 9.2]. La produzione di icone continuò nel Sinai e nelle sue dipendenze anche dopo la caduta di Costantinopoli nel 1453.
È cospicua la presenza della scuola pittorica cretese, attraverso le opere di artisti rinomati come Angelos; la scuola cretese produsse anche una particolare iconografia sinaitica legata ai luoghi di pellegrinaggio del Sinai, oltre all'icona formale di Santa Caterina [16].
Particolare importanza riveste l'adorazione della Theotokos - che compare in diverse tipologie iconografiche [1, 4.12, 5.3, 7.2-5, 8.2], così come quella di Mosè [4.6, 4.7] e di Santa Caterina [14.1, 7.5, 11.2, 16, 31] - di cui oggi il visitatore può seguire sistematicamente l'evoluzione in mostra.
Le icone sacre e i tesori religiosi esposti nella nuova Sacrestia dimostrano la discendenza ininterrotta del culto cristiano orientale, in cui la preghiera e la trascendenza spirituale sono di estrema importanza. Non sono semplici realizzazioni estetiche, ma rappresentazioni della bellezza divina. GG